Leggende delle Eolie…

Monastero di Lipari

La leggenda narra che quando nel resto del Mondo soffia forte il vento, alle Isole Eolie ci sia calma piatta. La stessa leggenda ci racconta che in uno degli anfratti delle grotte di Stromboli, Eolo abbia scelto di riposare. E qui alle Sette Isole di acqua, fuoco, terra e mare di vento ne troviamo sempre quanto basta per veleggiare placido ed assorto. Leggermente invelati con genoa a segno e randa aperta la navigazione da Panarea a Stromboli è quella che la flottiglia delle Isole Eolie ama di più. La sosta in baia per il pranzo a Cala Junco è un momento del tour delle Isole che rimane sempre nel cuore e nell’immaginario di tutti forse perché arrivando ci si aspetta sempre una Panarea diversissima da quella che poi in realtà si incontra e le calette di Milazzese e Junco ne sono l’esempio più calzante. Due anfratti rocciosi dalle guglie ispide scavate dall’acqua del mare e del vento che fanno da cornice ad uno specchio di mare iridescente di colori e forme di vita sottomarine. Una calma rilassante avvolge le barche a vela che all’ancora cullano gli equipaggi impegnati nella preparazione del pranzo. Il villaggio preistorico adagiato su una delle due penisole create da scogli sporgenti sovrasta entrambe le baie e Drautto davanti a chiudere il cerchio piccolissimo di questo anfiteatro naturale. I sup fanno slalom tra le barche in rada e raggiungono la piccola spiaggia di sabbia che da questo lato dell’isola è l’unica che permette una camminata per arrivare al centro del paese; è da qui che la strada piastrellata e non dotata di illuminazione parte per inerpicarsi nei vicoli più stretti fino a raggiungere il paese e la Panarea che di cui abbiamo sempre letto, quella snob e confusionaria degli aperitivi al Raya Club o al Banacalì.

Lipari e Vulcano

C’è molto da scoprire di queste Sette isole che spiazza e che lascia inaspettatamente esterrefatti. La bellezza delle Isole Eolie risiede si nelle sue meraviglie naturalistiche, ma soprattutto nelle loro capacità di sorprendere il visitatore ad ogni passaggio. La barca a vela è sicuramente ciò che più permette di godere dei luoghi e dei loro scenari. Siamo a Cala Junco. Salperemo alla volta di Stromboli nel pomeriggio. Cala Junco, senza inutile pretese è  senza dubbio una delle spiagge siciliane più suggestive. Il merito è, anzitutto, della sua suggestiva conformazione: una baia incastonata tra le rocce, una sorta di piscina naturale. Si caratterizza per la forma ad anfiteatro, delimitato da formazioni rocciose. Queste, insieme ai fondali e all’azione dei raggi del sole, danno al mare splendide sfumature. L’acqua va dal blu intenso al verde smeraldo. E lo spettacolo n on finisce qui. La sua fama rende Cala Junco una delle spiagge di Panarea più gettonate, soprattutto nel mese di agosto. Se volete godere appieno di questo spettacolo della natura, il consiglio è visitarla in momenti meno affollati. Una visita è d’obbligo, perché regala indimenticabili momenti di relax. Pare che, ai tempi del villaggio preistorico, fosse utilizzata come darsena. Raggiungere la spiaggia di Cala Junco è facile. Tutto ciò che dovete fare è imboccare un antico sentiero che parte dal Drautto e, in circa 30 minuti, vi porta a destinazione. Questo se partite dal paese lato porto, altrimenti è la barca a vela il mezzo più adatto a raggiungerla poiché l’ancoraggio è facile e sicuro, ottimo anche per la notte. La piccola isola di Panarea offre tanti scorci suggestivi, insenatura affascinanti e paesaggi da scoprire. È perfetta per coloro che cercano relax, ma anche per gli appassionati di snorkeling ed immersioni. Non mancano le attrattive in termini di vita mondana. Le spiagge raggiungibili a piedi dal centro abitato si trovano tutte sul versante orientale e meridionale dell’isola. La parte restante dell’isola è scoscesa e quasi totalmente inaccessibile. Le altre spiagge presenti si trovano nei vicini isolotti di Basiluzzo e Lisca Bianca. Sono tutti isolotti che gravitano attorno a Panarea e che formano un mini arcipelago all’interno dell’arcipelago stesso. Appaiono all’orizzonte come grandi scogli o poco più, ma sono quello che resta di antichi vulcani che con la loro forza hanno sconquassato il mare e la terra circostante nelle ere passate, prima di estinguersi ed inabissarsi: sono gli isolotti minori che si trovano di fronte Panarea i cui principali sono Basiluzzo, Dattilo, Bottaro, Lisca Bianca, Lisca Nera, Spinazzola, Panarelli e le Formiche.

Litografie delle Eolie

Poco più che scogli abbiamo detto, ma in alcuni casi micromondi complessi e delicati che sembrano ferire il mare con i loro artigli di pietra lavica, e che meritano di essere approfonditi. Basiluzzo è la più grande di queste isolette-scoglio e per questo è chiamata spesso “l’ottava isola delle Eolie”. Situata a 3,5 km da Panarea con una superficie di 0,3 chilometri quadrati, formatosi circa 50.000 anni fa ed eroso come gli altri isolotti, dai fenomeni atmosferici e tellurici che hanno scolpito riolite, ossidiana e pomice in queste fortezze che sbucano dall’acqua. Basiluzzo è formata da ripidi bordi a picco sul mare, con una altezza massima di 165 metri, mentre su un lato si trova una sorta di pianoro, che per molto tempo è stato usato come pascolo e coltivazione di capperi. La caratteristica più interessante però è che quest’isola doveva essere una dimora di lusso ai tempi dell’antica Roma, dato che ci sono i resti di una villa romana e di una darsena. La villa, situata proprio sulla sommità dell’isola e dotata di una terrazza con i pavimenti a mosaico gode di una vista privilegiata su Stromboli: sembra che il ricco romano volesse godersi le spettacolari eruzioni con un posto in prima fila! Davanti a Basiluzzo si trova lo scoglio di Spinazzola, ampio oltre 5 metri quadri ed alto 79, completamente a picco sul mare ed inaccessibile. Un tempo Spinazzola doveva essere tutt’uno con Basiluzzo: l’erosione deve averne fatto franare una parte separando per sempre le due isolette. Dattilo, con 287 mq di superficie si erge con la sua caratteristica forma di dito (da cui il nome che in greco antico significa dito) sul mare. La sua forma caratteristica ricorda anche una cattedrale medievale uscita da qualche fantasia sfrenata di chi può immaginare un colosso architettonico in mezzo al mare cristallino. Lisca Bianca deve il suo nome al colore conferitole dalle reazioni chimiche causate dalla fumarole acide, ed è stata usata in passato come cava di allume. Lisca Nera invece non è che un piccolo scoglio che affiora a pelo d’acqua. Bottaro è famosa per un punto nelle sue vicinanze in cui il mare ribolle a causa di una particolare fumarola fredda, che emette bolle di anidride carbonica ma non riscalda l’acqua come in altri punti delle Eolie.

Eolie selvagge

Tutti gli isolotti minori, probabilmente, un tempo erano uniti dalla terraferma e forse addirittura costituivano una grande isola insieme alla stessa Panarea. Oggi sono dichiarati riserva naturale ed è proibito lo sbarco se non per scopi scientifici: sono variamente abitati da specie uniche come la Lucertola Campestre, diverse varietà di gechi, come il geco comune ed il geco verrucoso, e sono zone di nidificazione del Gabbiano Reale. Sulle isole più grandi sono diffusi anche i conigli selvatici che vivono tra varie piante di vegetazione mediterranea come il Fiordaliso delle Eolie, il lentisco, l’atriplex portulacoides, il garofano delle rupi, il finocchio selvatico. Una “misticanza” di profumi, odori, visioni, sapori che rincuorano corpo e anima. Tutte le Isole Eolie hanno bisogno di essere guardate e viste dall’occhio del visitatore attento per coglierne gli aspetti che ad una vista superficiale sfuggirebbero. E questo succede anche e soprattutto a Panarea.

…poi le Isole Eolie!

Sembra, o così è in effetti, che la barca a vela sia il mezzo che Iddu accoglie più volentieri; meglio se a motore spento e sospinta dal gonfiarsi delle vele di prua. Il corridoio di mare che si percorre allontanandosi da Panarea è tutto uno sbirciare verso di lui e la sua forma conica e simmetrica che si staglia possente sotto le foschie che ne nascondono la cima anche nei giorni di cielo terso e limpido. D’altra parte alla luce del giorno le eruzioni si nascondono dietro la luce del sole, ma visibili sempre nei fumacchi periodici e puntuali che ogni venti minuti ne animano i contorni.

Insomma c’è  quest’isola perduta, al largo del Tirreno, emersa dal mare e sputata dalla bocca di un vulcano, i cui pennacchi infuocati hanno guidato le rotte dei marinai nelle antiche notti senza stelle: Stromboli. Faro del Mediterraneo, regno di Efesto, qui si approda se il mare lo concede, ascoltando la voce della montagna e lasciandosi traghettare dall’afflato di Eolo. Figlia di Strombolicchio, secondo la leggenda tappo del vulcano lanciato in mezzo al mare durante una violenta esplosione 200 mila anni fa, Stromboli emerge 100 mila anni dopo.

La più orientale e luminosa della costellazione delle sette sorelle isole del vento, le Eolie. Tra le più strampalate fantasticaggini, ne narrava Omero nell’Odissea, la porta degli Inferi dalla quale discese Zarathustra nel pensiero di Nietzsche, la vorticosa via d’uscita dal mondo sotterraneo nel Viaggio al centro della Terra di Jules Verne; appartata e solitaria, la gemma nera del Tirreno è avvolta da mito e leggenda. Il manto, una volta nudo e brullo per la totale assenza di acqua sull’isola, come un miracolo, dischiude alla vista e all’olfatto un tripudio di odori e colori contrastanti, dolci, erotici. Nelle croste aspre della roccia lavica si insinuano macchie di fucsia bouganville, essenze di gelsomino e oleandro, capperi  in fiore, dirompenti fiordalisi, artemisie, distese di ginestre, che nutrite dal calore nella pancia della terra madre, pregna di sali minerali, crescono rigogliose, temprate dai venti di mare.

Dall’alto, Stromboli appare come una trottola di ossidiana di forma trapezoidale alta 920 metri, dal cui cono lavico, a 750 metri, traboccano le sue lingue di lava che discendendo lungo la parete scoscesa della Sciara del Fuoco, cristallizzano, inabissandosi per 2000 metri nel profondo blu. Capovolgendosi a testa in giù, ci si immerge in un altro mondo dove tutto ciò che stava nelle viscere della montagna, assume nuova vita. Dal fuoco all’acqua. Quelle che erano incandescenti rocce magmatiche, ingioiellate di anemoni, spugne, ricci saetta e gorgonie rosso lava, diventano tana di cernie e murene. Le acque limpide e profonde di questo mare custodiscono una biodiversità ricca di vita non ancora depauperata dalla mano dell’uomo che, qui, nutre verso il mare una silenziosa riverenza.

Uomini di mare, i cui volti antichi, scolpiti dai venti, sembrano raccontare storie di sirene e di tritoni. Le case a Stromboli valicano il concetto stesso di casa. Unità, anime, piccoli templi dalle forme cubiche e morbide, essenziali e senza pretesa alcuna nell’urtare l’integrità del paesaggio. Di bianco per combattere la paura del buio, se le guardi bene, mostrano senza imbarazzo la parte più intima di chi le vive.

Come una barca in mezzo al mare, a Stromboli la natura dà il tempo alla vita. Un luogo che non permette nessuna mediazione, dove il corpo subisce la violenza delle pietre così come queste subiscono la violenza di una mareggiata. Un rapporto di intima sensualità tra uomo e natura che, qualora accolto, ti scava, ti plasma dentro e fuori, costringendoti a capovolgere le tue stesse priorità. In questa terra mi sono spogliata per avvicinarmi alla mia autenticità di essere umano. Il respiro del vulcano come respiro di vita, di fronte al quale ne ho percepito la schiacciante prepotenza, la commovente bellezza.

Si racconta che a causa di varie vicissitudini familiari Eolo scappò verso occidente, fermandosi presso un gruppo di isole del Mar Tirreno, che in suo onore furono chiamate Isole Eolie. Si racconta che Eolo fosse pio, giusto e ospitale verso i forestieri, che avrebbe insegnato l’uso della vela ai naviganti e che riusciva a predire i venti agli abitanti. Eolo, quindi, riuscì ad ottenere da Zeus il ruolo di consigliere degli dei e domatore dei venti. Quest’ultimi, custoditi in un’otra nella sua reggia a Lipari venivano liberati in base alla richiesta degli dei o dei suoi abitanti, causando a volte anche danni dovuti alla loro forza impetuosa e tra cui le leggende annoverano il distaccamento della Sicilia dal resto del continente.

Qui tutto parla di vento, di barche, di naviganti per caso o per mestiere, di rotte vacanziere e di tragitti verso baie nascoste. L’isola col suo tempo variabile, i suoi venti e le sue correnti, detta il ritmo della giornata. E incatena a sé i molti che lasciano la città e si trasferiscono qui. Beatrice Fassi, bergamasca, coordinatrice di Magmatrek, vive a Stromboli da 23 anni. «Ho scelto di rimanere perché mi piaceva la semplicità dell’isola, ci trovavo una certa autenticità, una giusta lontananza dalla frenesia della vita in città e dal consumismo. L’isola per me è stata una scuola di vita, ho imparato tanto, ci passa il mondo. Vorrei che Stromboli, questo punto di vita perso in mezzo al mare, trovasse la forza di tornare al meglio del suo passato: coltivazioni, scambi tra le persone, essenzialità». Il vulcano, intanto, respirando a intervalli regolari, emette cenere e lapilli.