Alicudi come non mai…

Alicudi, i mille gradini verso il cratere nell’isola dei capperi e degli asini.

Qualcuno li ha contati, come si fa con la scalinata di Caltagirone, ma il conto non torna mai perché si tratta di circa 2000 gradini di una mulattiera a coda di topo che arriva fino al cratere. Ma lassù il conto non serve più a nessuno: a una certa altezza un recinto circonda il cono dell’isola e segna il territorio lasciato alle capre, impedite così di devastare oltre. Ogni tanto però qualcuna precipita come le pietre nelle sciare di ponente e arriva fino a Scario o a Praja in mezzo ai paesani e ai turisti, perplessi sul fatto che gli arcudari detestano le capre e amano invece i muli e i serpenti. Per forza: quelli portano carichi su e giù per l’erta mentre questi custodiscono le anime dei trapassati. Antiche comodità e più antiche credenze, si capisce. Parliamo dopotutto di un posto dove le presenze animali sono quattro volte gli esseri umani.

D’altronde, ora che sono rimasti una cinquantina da più di mille che furono un tempo, gli abitanti di Alicudi non si danno pena del bel terreno di erica e capperi andato perduto, tanto più che oltre i 1500 gradini “chiani” e “lenze” (tradotto: pianori e terrazzamenti) sono diventati Riserva protetta. Bisogna nondimeno avere molta aria nei polmoni per arrivarci, anzi per elevarsi: è infatti a 1000 gradini che sorge la chiesa di San Bartolo, costruita a un’altezza voluta per dominare il creato, così profondo da non avere per confine che il solo orizzonte. Ma contrariamente a un tempo quando gli arcudari ignoravano il mare che li sommerge e si dedicavano alla loro ubertosa terra, prima ancora di andarsene a centinaia in Australia, quelli che sono rimasti hanno scoperto la pesca e molti dei Taranto, dei Virgona e dei Russo (le tre stirpi indigene tra le quali l’incesto è stato vangelo) hanno il loro rollo in acqua e sono diventati rais in tutto il Basso Tirreno.

Da nessun’altra parte come ad Alicudi gli abitanti fanno parte del luogo e del paesaggio. Lo scrittore Ermanno Rea vinse il Campiello proprio con un romanzo sugli arcudari e per ultimo un regista siciliano, Aurelio Grimaldi, è arrivato per girare un docu-film. Pensando di essere sbarcato su un’isola misteriosa e primitiva, si è innamorato sia dell’isola che degli isolani. Succede a molti. Basta un volitivo spirito di trappista scarpinante e molta voglia di stare fermi a guardarsi attorno.

dabs