Viaggio nelle Eolie

di Alexndre Dumas

Vicolo di Panarea

…ci svegliammo di fronte a Panarea dove un breve tratto di navigazione in barca a vela, per tutta la notte il vento ci era stato contrario ed i nostri uomini si erano alternati ai remi: ma non avevamo fatto un gran percorso ed eravamo appena a dieci miglia dalle coste di Lipari. Siccome il mare era assolutamente calmo e le condizioni metereologiche favorevoli dissi al capitano di gettare l’ancora, di fare cambusa per la giornata e soprattutto di non dimenticare i miei amati crostacei. Infine scendemmo nel tender prendendo Pietro e Filippo come rematori e gli ordinammo di condurci su uno dei venti o trenta isolotti sparsi nel braccio di mare tra Panarea e Stromboli. Dopo un quarto d’ora di navigazione sbarcammo a Lisca Bianca, la barca a vela alla fonda ed il suo “albero galleggiante” che ondeggiava lievemente ci rassicurava da lontano. Jadin si sedette rimpianse il suo parasole, montò la sua camera bianca e si mise a fare un disegno generale delle isole.  Quanto a me, presi il mio fucile da e seguito da Pietro mi misi in cerca di avventure, che si limitirano all’incontro con due uccelli marini, della specie di Beccaccini che prendemmo entrambi. Era già più di quanto avessi potuto sperare visto che l’isolotto era completamente deserto e con rari ciuffi d’erba in qua e là. Voltandomi si stagliava vicina Panarea con il suo profilo leggermente spiovente e le vele delle barche in navigazione che ne contornivano il profilo. A valle dell’isola pochi e rari i caseggiati dei pescatori. A monte una fitta vegetazione bassa e scura tra me e Panarea poche centinania di metri, ma alla mia vista questi molti isolotti sembravano separarmi da essa come un sentiero di pochi passi. Voltandomi verso nord vedo con sorpresa quella che all’inizio mi parve nebbia. Stordito, aguzzando la vista capisco che all’orizzonte sto guardando lo Stromboli e che quella presunta nebbia altro non è che il misti di fumacchi e lapilli che circondano il cono vulcanico di “Iddù”, così come gli isolani amano chiamarlo.

Rivolgo di nuovo la mia attenzione a ciò che sto facendo e con Pietro, che aveva molta familiarità con tutte queste rocce piccole e grandi, decido di farmi guidare subito all’unica cosa curiosa che esiste sull’isola. Si tratta di una sorgente di gas idrogeno solforoso che si sprigiona dal mare in numerose bolle e che diffonde tutt’intorno quell’odore acre tipico di una cucina malconcia. Pietro ne raccolse per me una cera quantità in una bottiglia di cui si era appositamente munito e che pappò ermeticamente con la promessa di mostrarmi al nostro ritorno in barca a vela, una curiosità. Dopo una sosta di circa un ora a Lisca Bianca ci accorgemmo che la nostra barca si muoveva e si avvicinava a noi.

Panarea vista da Lisca Bianca

Giunse davanti all’isola proprio quando Jadin ultimò il suo disegno; così non dovemmo far altro che salire sul tender e remare per cinque minuti prima di essere nuovamente a bordo. Il capitano aveva seguito le mie disposizioni alla lettera, aveva raccolto così tanti gamberi ed aragoste che non sapevamo più dove mettere i piedi, tanto il ponte ne era pieno. Ordinai di raggrupparli e contarli: ce ne erano quaranta. Rimproverai il capitano e lo accusai di volerci rovinare, ma mi rispose che avrebbe preso per se ciò che non avrei voluto, visto che non si poteva trovare nient’altro ad un prezzo migliore. In effetti a conti fatti, l’importo ammontava ad una cifra così bassa che mi accorsi che aveva acquistato in blocco la pesca di una barca di pescatori dell’isola di Panarea, per due monete al chilo.

La nostra escursione a lisca bianca ci aveva svegliato un feroce appetito; di conseguenza ordinammo a Giovanni di mettere in pentola i sei esemplari più grandi del gruppo, per il pranzo nostro e per quello dell’equipaggio; facemmo poi portare sei bottiglie di vino dalla cambusa in modo che non mancasse nulla al nostro pasto. A fine pranzo Pietro ci allietò con una tarantella ed il lieve ondeggiare della barca al passaggio di altre imbarcazioni a vela ci rilassò quanto bastava per passare un lieto pomeriggio in compagnie nelle acque di questo arcipelago eoliano. Alla vista dei miei due beccaccini, il capitano mi rivelò che l’isola di Basiluzzo brulicava di conigli. Siccome da tempo non facevo una battuta di caccia in piena regola, e nulla ci metteva fretta decidemmo di ancorarci davanti a quest’isola e di mettere piedi a terra per un paio di ore. Il profilo di Basiluzzo, arcigno alla vista come le guglie di una cattedrale gotica incuteva un leggero timore. Fondali profondissimi tutt’intorno non permettevano di ancorare se non lanciando una cima a terra che sola ci dette il modo di sbarcare. Naso all’insù Basiluzzo altissima pareva una costruzione egizia e solo una lunghissimo sentiero conduceva alla piana centrale. Quando vi arrivammo erano quasi le tre, e la rada dove la nostra barca riuscì a trovare collocazione era piuttosto comoda: otto o dieci case coronavano allora la piana dell’isola. Poiché non volevo ledere il diletto dei proprietari, mandai Pietro a domandare loro se mi volessero concedere il permesso di abbattere qualcuno di quei conigli. Mi mandare a dire che erano ben lungi dall’opporsi a quella lodevole intensione: più ne avrei presi più avrei fatto loro un piacere, dato che questi insolenti predatori saccheggiavano impunemente i pochi ortaggi che coltivavano e che, non disponendo di fucili non potevano difendersi da essi. Iniziammo la caccia e fu molto proficua.

Scoglio di Basiluzzo

Esplorammo l’isola da un capo all’altro, c’eravamo accorti di alcune antiche vestige: mi ci accostai ma a colpo d’occhio mi resi conto che erano prive di importanza. Avevamo perduto o meglio guadagnato due ore e se bene si fosse levata una bella brezza di sud est dalla Sicilia probabilmente non saremmo arrivati in tempo al porto di Stromboli per poter scendere a terra.

Spiegammo ugualmente le vele per non avere nulla da rimproverarci e percorremmo quasi sei miglia in due ore; ad un tratto però il vento da sud cadde per lasciare posto al grecale da nord est, e poiché le nostre vele divennero più dannose che utili procedemmo nuovamente a remi. Nell’avvicinarci al vulcano di Stromboli la nebbia intravista prima si rarefaceva pian piano ed il profilo dello Stromboli diveniva sempre più nitido. Dai disegni di Jadin mi accorsi poi che questo poteva essere definito il vulcano per eccellenza, tanto la sua forma conica assomigliava alla perfezione a quello che gli studiosi chiamavano “vulcano”.        

Le Eolie agli occhi di Dumas

Il titolo originale dell’opera è “Impressions de voyage. Le capitaine Arena( Parigi, 1854 ) ed è accompagnato da illustrazioni di Jean Houel, Voyage pittoresque des îles de Sicile, de Malte et de Lipari ( Parigi, 1782 ) e da altre di Luigi Salvatore d’Austria. Ogni immagine a carboncino dei due artisti scandisce il viaggiare dei tre personaggi che seguono rotta, orme e pensieri del predecessore Ulisse: Dumas, l’amico pittore Louis-Godefroy Jadin e il cane Milord, che non è solo un personaggio, ma che rappresenta l’irrequietezza della scoperta di luoghi forse perigliosi come lo sono sempre quelli circondati da mare a perdita d’occhio.

Monastero di Lipari

Viaggio nelle Eolie di Alexandre Dumas è uno di quei piccoli libri che vanno letti tutti d’un fiato e su cui l’occhio si posa in libreria perché l’attenzione viene attratta irrimediabilmente da un nome. Per me quel nome è stato “Eolie” che mi riporta alla mente oltrechè un mestiere, quello di skipper di vacanze in barca a vela anche l’idea di “casa”. Le Eolie sono questa mistura di paesanità siciliana, di natura e di multiculturalità che difficilmente coabitano in un unico luogo. Il libretto  è una raccolta di impressioni ricavate da alcuni giorni trascorsi in questo arcipelago di Sette Sorelle ai “confini del mondo”: le Eolie, che sembrano così lontane, e che in effetti allora lo erano davvero per i mezzi a disposizione, dalla Sicilia che sta per essere stravolta dall’arrivo impetuoso dei garibaldini. 

Anche Guy de Maupassant nel 1835 si spinse fino all’Arcipelago delle isole Eoliei. Nel XIX secolo sono stati qui esploratori e viaggiatori di ogni tipo; costoro con i loro resoconti e diari, sono stati la fonte prima e necessaria per la diffusione di notizie riguardanti un luogo così remoto, oltre che una vera e propria attrazione per gli abitanti del luogo così abituati alla loro solitudine.

Un’ isola senza confini ai confini del Mondo, Alicudi

Vulcano verso Lipari

Con un po’ di nostalgia i tre avventurieri si lasciano Palermo alle spalle. Hanno attraversato Romagna, Calabria e Sicilia e così adesso la speranza li trasporta ondeggiando verso le rive di Alicudi, la prima isola che incontrano e di cui ahimè non riescono, se non a vista, dalle alture, a compiere il periplo. Ad Alicudi, la più isolata delle sette Eolie non si arriva, ancora oggi, se non con barche a vela o motore poiché non vi attraccano aliscafi e non esistono porti degni di tale nome. Dare ancora in rada ed essere sicuri che tenga è un miraggio a cui tutt’oggi, ogni volta che vi arrivo, miro poiché la sua forma senza insenature e senza zone non esposte ai venti, rende l’ancora sul fondale quantomai instabile e le mie visite  a terra si limitano a brevissimi “affacci”. Quando Dumas ed i suoi compagni vi poggiano piede li sovrasta un cielo che si confonde col mare, tanto è l’azzurro che lo impregna. Il tempo trascorso in movimento per Dumas è fresco e piacevole, mai guastato dai disagi e gli inconvenienti tipici del racconto d’esplorazione. «Erano quelle le ore dolci del viaggio, quando si sogna senza pensare, quando il ricordo del paese abbandonato e degli amici assenti torna alla memoria, come quelle nuvole dalle forme umane che scivolando dolcemente su un cielo azzurro cambiano d’aspetto; prendono forma, si disfano e riformano venti volte in un’ora». Alicudi era desolata allora ed in parte lo è ancora oggi, ma non tristemente, almeno per me. Il senso di quiete tutto intorno, le barca a vela solo leggermente cullate dalla brezza creano pensieri, ma non inquietudine. Non c’è vegetazione che riposi gli occhi, ma la sua miseria non intacca mai lo spirito dell’avventuriero che si interroga sulle esistenze, secondo lui, inconcepibili dei pescatori, anonime vite trascorse in una terra senza riposo: «Quando si vive in un certo mondo e in un certo modo, ci sono delle esistenze che diventano incomprensibili. Chi ha trattenuto questa gente su quel vulcano spento? Vi sono cresciuti come le eriche dalle quali prende il nome? Quale motivo impedisce loro di abbandonare quest’orribile soggiorno? Non vi è alcun angolo del mondo ove non starebbero meglio di lì. Ma questa roccia arsa dal fuoco, questa lava indurita dall’aria, queste scorie scalfite dall’acqua delle tempeste, possono essere una patria?».

La montagna di piuma, Lipari

Stromboli

Lipari, una delle più grandi dell’arcipelago delle isole Eolie e Vulcano vivevano separate, finché la lava non ha colmato la distanza fra loro. Dumas snocciola qualche informazione sull’isola di Lipari, l’antica Eolia e terra di Eolo, dove Ulisse sbarcò dopo l’incontro con Polifemo. Dopo una breve passeggiata, i tre assistono al frettoloso commiato di una famiglia al proprio figlio, un bambino morto e steso su un giaciglio. Attorniato dai propri parenti e amici, questi non sembrano però particolarmente affranti e continuano indisturbati le loro occupazioni. Dumas e i suoi compagni di viaggio seguono, unici presenti, la cerimonia funebre fino alla fossa comune dove il cadaverino viene buttato senza troppi riguardi. Rimangono tutti sconcertati dal trattamento riservato al piccolo, ma presto vengono distratti dall’arrivo dei francescani che li ospitano per la notte dimostrando loro gentilezza e accoglienza. L’autore non potrà dimenticare «[…] il piccolo convento dall’aria orientale e la sua bella calma che gli dava l’aspetto di una moschea più che di una chiesa». I francesi approdati da pochi giorni sono oggetto di curiosità, la popolazione eoliana infatti è abituata agli sbarchi dei marinai, ma altri non si fanno vedere spesso da quelle parti. Il governatore di Lipari e dell’arcipelago li ospita e li conduce per i territori desolati, contento di avere finalmente compagnia; si annoia a morte e passa la vita col cannocchiale in mano in cerca di piccole novità.

Una puntata all’inferno, Vulcano Eolie

Uno stretto di appena tre miglia separa Lipari da Vulcano, succursale dell’Etna descritta tanto bene da Virgilio. Questa, popolata solo da forzati e da due sorveglianti, diventa il luogo dove gli avventurieri non riescono a distinguere il loro viaggio da un sogno. Il gruppo visita un vulcano sottomarino che riscalda l’acqua per una piccola area circostante, dove vengono raggiunti gli 85 gradi e dove sperimentano la preparazione di due uova sode con grande gioia e divertimento del cane Milord.

Una corsa sulla brace, Stromboli Eolie

Attività Vulcaniche Eolie

Dopo aver preso una pausa dall’escursione dedicandosi alla caccia di beccaccini e conigli a Panarea (detta anche paradiso della pancia), gli stranieri sono accolti nel migliore dei modi. Anche se non sono in grado di comprendere le parole dette dagli isolani, una cosa è certa: nonostante la scarsità di chiarezza, capiscono senza problemi che si tratta di conversazioni amichevoli. Lo Stromboli è un vulcano tascabile che non delude e non tarda a farsi sentire. Attraversano un mare di cenere bollente con l’aiuto di due guide del posto ingaggiate sul momento, un “lago di Sodoma” che lascia tracce d’ustione su tutti i partecipanti. Dumas vorrebbe scrivere le memorie del cane Milord come Ernst Hoffmann scrisse quelle del gatto Murr, ma questo è l’ultimo vulcano con cui avrebbero fatto conoscenza e si avviano sulla strada del ritorno.

Un modo alternativo per arrivare alle Eolie.

I servizi di Panara, l’isola mondana…

Air Panarea è una società di servizi che ha sede nelle Isole Eolie con  base operativa a Panarea ed opera nel settore del trasporto passeggeri con elicotteri avvalendosi di vettori che rispondono alle normative vigenti in ambito JAR OPS 3.

Air Panarea effettua collegamenti tra gli aeroporti del Sud consentendo di raggiungere qualsiasi destinazione in tempi brevissimi.

La società organizza escursioni turistiche in elicottero in accordo con le normative vigenti.

Gli elicotteri, il personale di volo e gli equipaggiamenti istallati a bordo rispondono ai più severi standard di sicurezza per il tipo di missione richiesta.

Dabs