La storia: le Isole Eolie.
Le Isole Eolie hanno una storia millenaria affascinante, che affonda le radici nella preistoria e attraversa tutte le principali civiltà del Mediterraneo. Gli abitanti delle Eolie oggi circa 14.000 distribuiti su sette isole discendono da un mosaico di popoli antichi che hanno lasciato tracce profonde nella cultura, nella lingua, nell’architettura e persino nella cucina.
Preistoria e civiltà eoliana le prime tracce umane risalgono al Neolitico (V millennio a.C.), con insediamenti a Castellaro Vecchio (Lipari) e Capo Graziano (Filicudi).
Gli abitanti erano agricoltori e ceramisti, famosi per la lavorazione dell’ossidiana, una pietra vulcanica nera usata per utensili e commerciata in tutto il Mediterraneo.
Si parla di una vera Civiltà eoliana, con cultura materiale e ceramica proprie.
Greci e la fondazione di Lipari (VI sec. a.C.)
I Greci colonizzano le isole e fondano la città di Lipari, che diventa un centro fiorente.
Le Eolie entrano nel mito: Eolo, dio dei venti, dà il nome all’arcipelago.
Si sviluppano acropoli, templi, necropoli e il culto di divinità greche (come Demetra, Afrodite, Eracle).
Romani e Bizantini dopo le guerre puniche, le isole passano sotto dominio romano.
L’epoca romana è di decadenza relativa, ma continuano le attività agricole e termali (soprattutto a Vulcano).
In seguito, le isole passano ai Bizantini, che rafforzano Lipari e costruiscono fortificazioni.
Saraceni e Normanni nell’IX secolo, i Saraceni devastano le isole: molti abitanti vengono uccisi o deportati. Normanni le riconquistano nell’XI secolo, avviando una rinascita religiosa e agricola.
Vengono ricostruiti monasteri, chiese, e si rafforza il culto cristiano.
Età moderna: pirati, spagnoli e Borboni. Le Eolie restano vulnerabili agli attacchi pirateschi fino al XVII secolo (famigerato il sacco turco del 1544: Lipari fu saccheggiata da Khayr al-Din detto Barbarossa). Sotto gli spagnoli dal 1500 in poi) si costruiscono mura e si fortifica il castello di Lipari.
I Borboni (1700–1800) usano alcune isole come *luogo di confino politico e punizione.
XX secolo e oltre. Nel primo Novecento, molte famiglie eoliane emigrano (soprattutto da Alicudi, Filicudi, Salina) verso Australia, Argentina, Stati Uniti.
Durante il fascismo, Filicudi e Lipari ospitano esiliati politici (tra cui anche personaggi noti dell’antifascismo).
Dagli anni ’60 in poi, con il turismo e l’arrivo dell’elettricità, le isole cominciano a rinascere.
Oggi: chi sono gli eoliani?
Gli abitanti attuali sono spesso discendenti delle famiglie storiche, ma ci sono anche nuovi residenti da tutta Italia e dall’estero.
L’identità eoliana è forte: si parla un dialetto siciliano con influenze arcaiche, si mantengono tradizioni agricole e religiose, e si valorizzano mestieri antichi (pescatori, contadini, artigiani).
Curiosità storiche dicono che a Filicudi si trovano graffiti preistorici a Filo Braccio.
Salina era l’unica isola non amministrata da Lipari in epoca borbonica.
Alicudi è rimasta senza elettricità fino al 1990: la sua storia è fatta di isolamento e autosufficienza.
Panarea storia degli anni 50:
negli anni ’50, Panarea era un’isola remota e incontaminata, lontana dall’immagine glamour che avrebbe acquisito nei decenni successivi. La vita quotidiana era scandita da ritmi lenti e tradizionali, con la pesca e l’agricoltura come principali fonti di sostentamento. L’elettricità non era ancora presente: gli abitanti vivevano alla luce di candele e lampade a petrolio, e l’illuminazione pubblica fu introdotta solo negli anni ’80.
La popolazione dell’isola era composta da poche centinaia di persone, distribuite tra i piccoli borghi di Ditella, Drauto e San Pietro. Le abitazioni erano semplici e bianche, costruite con materiali locali e spesso circondate da orti e vigneti. Le tradizioni popolari erano vive e sentite: si raccontavano ancora leggende come quella delle “Donne Volanti”, presunte streghe che si diceva volassero di notte sopra le onde, una credenza che potrebbe essere legata all’ingestione accidentale di ergot, un fungo allucinogeno presente nei cereali.
Il turismo era praticamente inesistente. Solo nel 1954, l’artista surrealista cileno Roberto Matta visitò l’isola, segnando uno dei primi contatti tra Panarea e il mondo dell’arte internazionale. Fu però negli anni ’60 che Panarea iniziò a trasformarsi, grazie all’apertura dell’Hotel Raya da parte di Myriam Beltrami e Paolo Tilche, che attirarono artisti e intellettuali, dando inizio alla fama dell’isola come destinazione chic.
Oggi, Panarea conserva ancora tracce di quel passato autentico: i sentieri che attraversano l’isola, le antiche rovine del villaggio dell’età del bronzo a Capo Milazzese e la vista mozzafiato sullo Stromboli ricordano un’epoca in cui la natura e le tradizioni dominavano la vita quotidiana.
L’Hotel Raya è stato fondato nei primi anni ’60 da Myriam Beltrami e *Paolo Tilche, una coppia di artisti e visionari provenienti da Milano. Affascinati dalla bellezza selvaggia di Panarea, decisero di stabilirsi sull’isola, trasformando un vecchio rudere nella “più bella terrazza del mondo sospesa fra cielo e mare”. Il Raya nacque così, non solo come albergo, ma come espressione di uno stile di vita controcorrente, che univa eleganza, semplicità e rispetto per la natura.
L’architetto e designer Paolo Tilche progettò l’hotel seguendo una filosofia di “architettura naturalistica”, ispirata alla tradizione locale e all’ambiente circostante. Le strutture furono realizzate con materiali naturali e si integravano armoniosamente nel paesaggio, contribuendo a definire l’estetica distintiva di Panarea.
Negli anni successivi, il Raya divenne un punto di riferimento per artisti, intellettuali e celebrità internazionali. Ospiti illustri come Naomi Campbell, Dolce & Gabbana, Mike Tyson e la cantante Noa hanno soggiornato presso l’hotel, attratti dalla sua atmosfera unica e dalla bellezza dell’isola.
Myriam Beltrami, oltre a gestire l’hotel, si dedicò alla moda, creando una boutique che divenne un punto di riferimento per i turisti. Dopo la scomparsa del marito e del figlio, fondò la Fondazione Raya, con l’obiettivo di contribuire al progresso e al miglioramento della qualità della vita sull’isola.
Oggi, l’Hotel Raya continua a rappresentare l’essenza di Panarea: un luogo dove la bellezza naturale, la cultura e l’ospitalità si fondono in un’esperienza indimenticabile.
Filicudi negli anni 50:
Negli anni ’50, l’isola di Filicudi offriva uno spaccato autentico della vita mediterranea, caratterizzato da semplicità, autosufficienza e un profondo legame con la terra e il mare.
Vita quotidiana e comunità all’epoca, la popolazione di Filicudi contava circa 1.500 abitanti, distribuiti tra piccoli borghi come Pecorini a Mare, Valdichiesa e Filicudi Porto. Le abitazioni erano costruite secondo la tradizione eoliana: case bianche con terrazze ombreggiate da pergolati, tetti in canna e paglia, e piccole finestre per proteggersi dal sole e dal vento.
La vita era scandita da attività agricole e artigianali. Un esempio emblematico è Nino Triolo, che svolgeva molteplici mestieri: falegname, agricoltore, pescatore, saldatore, procaccia postale, barista e trasportatore con l’asino. Fu anche il primo a introdurre la granita sull’isola, servendola ai primi turisti stranieri.
Agricoltura e pesca l’economia locale si basava principalmente sull’agricoltura, con la coltivazione di capperi, fichi e viti per la produzione di vino e Malvasia. La pesca era un’altra risorsa fondamentale, con un’abbondante fauna ittica che includeva specie pregiate come le aragoste.
Isolamento e primi turisti negli anni ’50, Filicudi era ancora priva di elettricità, che sarebbe arrivata solo nel 1986. Le comunicazioni con le altre isole e la Sicilia erano limitate a poche corse settimanali di piroscafi e motovelieri. Nonostante l’isolamento, l’isola iniziava ad attirare i primi turisti avventurosi, attratti dalla sua bellezza incontaminata e dalla possibilità di praticare la pesca subacquea.
Patrimonio archeologico durante negli anni ’50, furono condotti importanti scavi archeologici che portarono alla luce il villaggio preistorico di Capo Graziano, risalente all’età del bronzo medio. Situato su un terrazzo a 100 metri sul livello del mare, il sito comprendeva 27 capanne a pianta ovale, costruite con muretti a secco e strutture in legno.
Un’isola sospesa nel tempo, Filicudi negli anni ’50 era un luogo dove il tempo sembrava essersi fermato. La vita semplice, il paesaggio selvaggio e l’assenza di modernità conferivano all’isola un fascino unico, che avrebbe continuato ad attrarre artisti, intellettuali e viaggiatori in cerca di autenticità nei decenni successivi.