La pomice di Lipari.

Le spiagge bianche di Lipari.

Bianca e leggera, la pietra pomice di Lipari ha, da sempre, costituito uno dei suoi punti forti, in passato per il commercio ed oggi come attrattiva turistica. Segno evidente della sua origine vulcanica, insieme alle ossidiane che si trovano numerose nell’isola, la pomice è il frutto di un’attività vulcanica passata, conclusasi diversi anni fa. Vari crateri si ergono lungo il paesaggio, un orizzonte misto a roccia nera, manto verde e monti dalle facciate bianche: un quadro piuttosto suggestivo si presenta agli occhi del turista che non può far altro che ammirare estasiato.

Questa decisione ha segnato una svolta nella vita dell’isola, poiché il commercio e l’estrazione di pietra pomice ha segnato più di due secoli della storia sociale di Lipari. Gli scarti delle lavorazioni delle fabbriche negli anni hanno formato colline di questa polvere finissima bianca che si getta dolcemente sul mare.

I bagnanti possono salire su queste colline, cospargersi di polvere, che ha un effetto levigante assicurato, e poi gettarsi fino ad arrivare nelle acque cristalline che circonda questo paradiso immerso nel Mediterraneo. Queste colate anomale, sgorgate dai crateri della parte settentrionale dell’isola, sono oggetto di una discussione che da una parte vede chi aveva fatto di queste cave il proprio sostentamento e dall’altra chi ha lottato per salvaguardare un paradiso forse unico al mondo.

Dabs

Rinella caratteristico paese di Salina

Rinella borgo di barche e pescatori.

Rinella è una frazione del Comune di Leni. Un tempo chiamata Arenella, tale posto ha iniziato a vedere segnali d’avvio “soltanto” nel XVIII sec. Durante tale periodo iniziò a popolarsi di famiglie di contadini che prima abitavano la Valle, i quali iniziarono ad adattarsi anche ad una vita da pescatori. In breve tempo, quello che fino a poco tempo prima era stato uno scalo marittimo sfruttato solo di rado, diventò un luogo dal quale partivano imbarcazioni per lo smistamento di merci per Lipari e S. Marina. In seguito le imbarcazioni di Rinella iniziarono a scambiare i prodotti di Leni e Val di Chiesa direttamente con la costa campana.

Fu proprio a Napoli che la gente di Rinella entrò in contatto con il culto di S. Gaetano, Santo della Provvidenza e grande guaritore. S. Gaetano divenne il patrono di Rinella e, automaticamente, il protettore dei pescatori. Proprio per tal motivo, ogni 7 agosto, si dà luogo ad una singolare processione… con le barche. Sicuramente un evento non facile da vedere in un altro posto.

La chiesa attuale risale al 1853, ma il vescovo Beamonte già parla di una chiesa di S. Gaetano durante il suo viaggio a Salina nel 1736. Probabilmente si tratta della vecchia chiesa, poi adibita ad abitazione, di cui parla il Duca d’Asburgo nelle sue cronache. Anche se da alcuni manoscritti sembra che sia stato edificato un oratorio consacrato al santo già nel 1602; se fosse vero, quella di Rinella sarebbe la chiesa più anticha di Salina. Secondo alcune fonti furono proprio gli abitanti di Rinella a portare il culto di S. Gaetano ad Acquacalda. Questa era la zona di Lipari in cui le imbarcazioni rinellesi riparavano quando dovevano portare la pomice richiesta da S. Marina, oltre ad essere un sicuro approdo ogni qualvolta si dovessero recuperare le forze. La presenza della cappella di S. Gaetano ad Acquacalda è anteriore al 1771.

Oggi Rinella è il secondo porto commerciale di Salina e costituisce quello che potrebbe essere definito l’avamposto turistico di Leni. Il paese è anche famoso per essere stato il posto in cui è stata girata buona parte di un famoso film di  Wlliam Dieterle: “Vulcano”. In questo film (distribuito dalla storica “Panaria film” del principe Alliata) vi recitò una superlativa Anna Magnani e proprio a questa attrice è stata dedicata una piazza, che si trova in una zona interna.

Rinella è un agglomerato di case che ricorda realmente qualche paese esotico, dove tra l’altro si è sviluppata molto velocemente una buona tradizione artigianale. Negli ultimi anni ha incrementato la propria attività turistica in maniera considerevole. La spiaggia di sabbia non è l’unica freccia che Rinella ha al suo arco, infatti sono state aperte nuove strade che conducono i visitatori lungo percorsi costellati da panorami favolosi. La zona che va verso Pollara presenta delle bellissime spiagge (sormontate da grandi alberi di ulivo) e fondali che farebbero morire di invidia anche le zone caraibiche, mentre la zona che va verso Lingua potrebbe apparire più anonima… ma c’è una sorpresa: infatti esiste ancora l’antichissima strada che unisce i due paesi. Non è in ottime condizioni, ma si parla già di un suo immediato recupero. Inoltre esiste anche una vecchia strada, questa in ottime condizioni, che, per chi volesse velocemente muoversi a piedi, collega Rinella con Leni. Vale sicuramente la pena di percorrerla.

Da ricordare la realizzazione di un meraviglioso anfiteatro in stile greco, situato in una zona molto panoramica, in cui vengono allestite interessanti iniziative teatrali.

Villaggio dell’Età del Bronzo a Panarea.

Panarea. Il villaggio di Cala Junco.

 

Lo scavo al Milazzese di Panarea fu il primo condotto da Luigi Bernabò Brea nelle Isole Eolie, nel 1947.
Il villaggio è situato sul promontorio di Punta Milazzese, formato da tra successivi dossi rocciosi a superfice piana e con pareti quasi verticali, che si protendono nel mare a guisa di falce, congiunti all’isola solo da uno stretto istmo. Vera fortezza naturale, il promontorio era facilmente difendibile con un solo sbarramento dell’istmo; ed è proprio per questa ragione che è stato scelto come sede del villaggio della media età del bronzo.
La comunicazione fra i tre dossi, oggi impossibile, non doveva esserlo nell’antichità, poiché la roccia è stata in seguito fortemente erosa.
Sul primo dosso, che è il più ampio, oltre a tracce dello sbarramento dell’istmo sono state messe in luce 21 capanne delimitate da muretti di pietre a secco, mentre altre due sono state scavate all’estremità dell’ultimo dosso.

Il fatto che in molte capanne si siano trovati ancora in posto vasi ed altri oggetti dimostra che il villaggio ha subito la medesima distruzione violenta che è stata poi ritrovata in tutti gli insediamenti eoliani di questa età.
Il materiale rinvenuto caratterizza una delle fasi dell’età del bronzo eoliana (fase del Milazzese), che i numerosi reperti micenei datano tra il XIV e gli inizi del XIII sec. a.C.
Dabs

Salina, e la casa del Postino

Pollara la baia dei tramonti.

Il mare è il protagonista assoluto del paesaggio delle Isole Eolie. Nell’isola di Salina, nonostante vi siano poche spiagge, i turisti possono ritagliarsi il proprio “posto al sole” godendo di una bellezza paesaggistica unica nel suo genere. Nelle classifiche di Legambiente e Touring club l‘isola di Salina si posiziona sempre tra le prime località balneari d’Italia per le sue spiagge che, seppur poco numerose, vantano non solo una bellezza senza rivali, ma anche tutta una serie di attività rivolte alla tutela e alla salvaguardia dell’ambiente.

 

Situata sull’estremità nord-occidentale dell’isola, nei pressi dell’omonimo paesino facente parte al comune di Malfa, la spiaggia si estende sotto una ripida scogliera a forma di anfiteatro, caratterizzata da un litorale di sassi e ghiaia scuri. E’ uno dei luoghi più affascinanti di tutte le Eolie, a nord vi è la baia “Balate” chiusa dal Perciato , un promontorio dove sono visibili i magazzini e i rifugi scavati nel tufo. All’insenatura si accede tramite una ripida scalinata che attraversa la casa ormai denominata del Postino, in cui fu ambientato l’omonimo film. Il mare che la bagna è limpido e cristallino, vi troverete a fare il bagno in un preistorico cratere sommerso di cui ancora son ben visibili i resti plasmati dal fuoco, dal vento e dal mare. Da questa spiaggia è possibile ammirare lo spettacolare tramonto riconosciuto tra i più belli al mondo, il sole che assume un colore rosso intenso fa da sfondo alle spettacolari attrattive naturali . La spiaggia è raggiungibile via mare e l’ancoraggio antistante è formidabile.

 

Dabs

Filicudi mare, spiagge e grotte.

 

Filicudi: mare, spiagge e grotte. 

Fuori dalle rotte più navigate, Filicudi si sbarca per scelta, o meglio ancora per il desiderio di immergersi in una natura incontaminata e selvaggia, dove caratteristiche spiagge, ma anche piccole e appartate calette, fanno dell’isola uno scenario unico. Il mare, indubbiamente, è una delle principali attrattive e risorsa di sostentamento dell’isola. Per godere a pieno delle bellezze di Filicudi è consigliato l’utilizzo di una barca che sarà necessaria per raggiungere scorci suggestivi come la Grotta del Bue Marino, un tempo descritta come nascondiglio di mostri marini, dove, per effetto dei raggi solari, si creano particolarissimi giochi di luce. Se non possedete una barchetta non vi preoccupate, sono innumerevoli i posti dove è possibile affittarla o fare un escursione guidata lungo la costa.

Un altro angolo suggestivo celato dal mare è lo scoglio La Canna, a cui molti isolani attribuiscono la forma della Madonna col bambino. E’ uno scoglio plasmato dal mare e dal fuoco e, come un sontuoso monumento, si erge in tutta la sua altezza dando l’impressione di proteggere l’isola. Una leggenda “filicudara” attribuisce allo scoglio un potere magico: basta toccare lo scoglio per far si che i desideri si avverino.

La Grotta del Bue Marino di Filicudi è situata sul versante nord occidentale dell’isola, vicino alla rinomata Punta Perciato. Si tratta una magnifica e suggestiva grotta larga circa 30 metri, che deve il suo nome alle foche monache che un tempo la abitavano. E’ la grotta più grande di tutte le Eolie, tra le più magiche ed emozionanti per i giochi di luce che si creano al suo interno, che danno vita ad effetti favolosi, e per il rumore del mare, che dentro la grotta sembra imitare il muggito di un bue.

Per la profondità e l’ampiezza dell’antro della Grotta del Bue Marino, è possibile entrarvi con piccole barche a remi, oltre naturalmente che a nuoto.

 

Dabs

Panarea e l’attività vulcanica di Lisca Bianca

Le bollicine di Panarea…
 
Panarea è l’isola più piccola dell’arcipelago eoliano ed è un’isola molto scenografica; una delle più incantevoli dell’arcipelago. I suoi 240 abitanti,vivono in tre contrade: Ditella, S. Pietro e Drauto.
Fanno da cornice a Panarea i vicini isolotti di Basiluzzo, Dattilo, Bottaro, Spinazzola e gli scogli di Lisca Bianca, Lisca Nera, i Panarelli e le Formiche. Gli studiosi ritengono che Panarea, gli scogli e gli isolotti che la circondano siano i resti di un antichissimo vulcano sottomarino, sommerso in parte dalle acque nei periodi interglaciali.
L’apparato vulcanico complessivo si deve ritenere il più antico rispetto agli altri delle Eolie e del vulcano originale rimane solo la parte orientale perché quella occidentale ha subìto diversi sprofondamenti che hanno ridotto di molto la primitiva superficie dell’ isola. A sud-est, nei pressi di Punta Milazzese, vi sono i resti di un villaggio preistorico che dominano dall’alto la bella baia di Cala Junco, e tutt’intorno all’isola sorgono degli scogli chiamati le Formiche, poco affioranti e per questo causa di parecchi naufragi nell’antichità.
Il condotto principale dell’originario complesso vulcanico è situato all’incirca nel tratto di mare compreso tra lo scoglio La Nave e lo scoglio Cacatu. Sempre dal mare, sulla costa occidentale (Cala Bianca), sono invece visibili i resti di un condotto vulcanico secondario dalla forma di grosso imbuto.
Sul lato nord-est dell’ isola, sulla spiaggia della Calcara è tuttora possibile scorgere fumarole di vapori che si levano dalle fessure fra le rocce (dai suggestivi colori sulfurei), ultime tracce di attività vulcanica con temperature fino ai 100°C . In alcuni punti fra i ciottoli in riva al mare, per effetto di queste sorgenti di calore, l’acqua ribolle fino ad essere ustionante.
I fondali attorno a Panarea e il suo mini-arcipelago sono spettacolari perfetti
per fare snorkeling.
Altre fenomeni eruttivi subacquei (recentemente alla ribalta della cronaca per un’ improvvisa aumentata attività) sono evidenti nel ribollire delle acque fra l’isolotto di Bottaro e Lisca Bianca.
Dabs

Stromboli Terra di Dio…!!

Salita al cratere di Stromboli.

La salita è ripida, il sole di agosto ancora alto a quest’ora del pomeriggio ed inesorabilmente caldo, molto caldo. “Chi me lo ha fatto fare???” – penso- “non riuscirò ad arrivare lassù…chissà se mi permettono di tornare indietro?”. I pensieri sono scossi via da un boato e poi un altro ancora e sento che la terra sotto i piedi sembra non esserci più…il terreno nero fatto di piccole pepite laviche scivola lento sotto gli scarponi da trekking ricoperti ormai quasi interamente dalle polveri che aleggiano nell’aria al passare confusionario del gruppo che sale. Faccio fatica a non cadere e mi sorreggo mettendo il busto in avanti e facendo leva sulle punte dei piedi, ma non posso non guardare su e anche se il sudore lo sento,  fastidioso, che scende sulla nuca….sorrido. Non posso abbandonare. Non adesso.

Al termine delle breve scalata lungo la mulattiera si apre ai miei occhi una vista meravigliosa su Strombolicchio che è ormai 700 metri più in basso…altezzoso e gotico in tutte le sue forme anche da quassù ruba per un attimo tutta la nostra attenzione. Ma Stromboli sopra, sotto e dovunque intorno a me mi richiama all’ordine…siamo sulla cresta ripida e sabbiosa che conduce alla cima e vedo i crateri con le prime postazioni di osservazione fatti da bassi muretti di protezione disposti a semicerchio. Il punto di osservazione più vicino alle bocche è più in alto però è devo risalire il tratto di cresta finale. Difficile credere ai propri occhi e mantenere la calma…alte e spaventose le esplosioni si susseguono ritmicamente tingendo di rosso il nero della notte ormai calata. L’adrenalina sale eppure il senso di pace e di godimento alla vista di questa Natura che esplode sono di quelli mai sentiti prima.  È come essere affacciati sul bordo del vaso di Pandora e sentire terrore misto a curiosità e vorresti fare sempre un passo in avanti perché forse lo spettacolo sarebbe ancora più bello. La guida parla, illustra, descrive, da indicazioni. Ma come si può ascoltare? È “Lui” che senza parole dice tutto e sgomitando rimane per interminabili attimi al centro di tutta la nostra attenzione. “Iddu” è così, mi avevano avvertito quasi come se parlassero di qualcuno che esiste davvero, di un’entità vivente…ed io che non ci avevo creduto…. Amo quest’isola, l’ho sempre amata…dal momento stesso in cui ci ho messo piede la prima volta. Dal momento in cui mi ha costretta a fare pace con la paura di approdare in un luogo dove la terra sotto i piedi è calda e trema e ruggisce, ma non puoi fare a meno di toglierti ciabatte e scarpe almeno una volta perché quel calore lo devi sentire  diretto sotto di te. È un amore potente quello di chi si innamora di Stromboli…perché le Eolie le ami tutte, ma sempre succede che ognuno scelga la propria e la faccia sua. Io ho scelto Stromboli. La sua forma conica, la sua “sciara”, il verde lussureggiante del bosco che fa spazio lungo il pendio alla sabbia nerissima di polvere lavica. Sono rimasta qui, da quel pomeriggio di agosto in cui ho deciso di salire lassù….

Simona

 

Lipari e le cave di pomice.

LIPARI: IL NERO DELL’OSSIDIANA, IL BIANCO DELLA PIETRA POMICE.

 

 

 Lipari non è solo la più grande delle Isole Eolie, ma è anche la più mondana tra le sette perle del mediterraneo.

Il suo porticciolo e la rocca fortificata l’hanno resa un punto focale del turismo eoliano, caratterizzandola come snodo principale degli spostamenti da e verso le altre isole.

Oltre ad una fervente attività turistica, la principale fonte di ricchezza dell’isola è stata per anni alimentata dalle operazioni di estrazione dell’ossidiana e della pietra pomice.

È difficile credere che il nero dell’ossidiana e il bianco della pietra pomice derivino dalla stessa tipologia di fenomeno. Mentre la prima deve il suo colore alla composizione basica del magma da cui è prodotta, la seconda è chiara perché è acida e nasce da eruzioni ricche di gas con un’evaporazione veloce che conferisce alla pietra pomice la sua caratteristica porosità.

mare limpido isole eolieSe l’ossidiana è la tipica roccia magmatica-vetrosa di origine effusiva, la pomice appartiene a quella categoria di materiali eruttivi generati da un’attività effusiva-esplosiva: insomma, entrambe derivano dal raffreddamento e dalla successiva solidificazione della lava, ma sono totalmente diverse per consistenza e colore.

Ancora oggi è possibile visitare le cave di pietra pomice di Porticello o fare un bagno lungo le sue coste bianchissime, dove il mare assume una colorazione turchese unica al mondo. Anche l’ossidiana è facilmente reperibile nella sua forma più grezza, soprattutto nelle zone costiere o rurali dell’Isola di Lipari.

dabs

Alicudi come non mai…

Alicudi, i mille gradini verso il cratere nell’isola dei capperi e degli asini.

Qualcuno li ha contati, come si fa con la scalinata di Caltagirone, ma il conto non torna mai perché si tratta di circa 2000 gradini di una mulattiera a coda di topo che arriva fino al cratere. Ma lassù il conto non serve più a nessuno: a una certa altezza un recinto circonda il cono dell’isola e segna il territorio lasciato alle capre, impedite così di devastare oltre. Ogni tanto però qualcuna precipita come le pietre nelle sciare di ponente e arriva fino a Scario o a Praja in mezzo ai paesani e ai turisti, perplessi sul fatto che gli arcudari detestano le capre e amano invece i muli e i serpenti. Per forza: quelli portano carichi su e giù per l’erta mentre questi custodiscono le anime dei trapassati. Antiche comodità e più antiche credenze, si capisce. Parliamo dopotutto di un posto dove le presenze animali sono quattro volte gli esseri umani.

D’altronde, ora che sono rimasti una cinquantina da più di mille che furono un tempo, gli abitanti di Alicudi non si danno pena del bel terreno di erica e capperi andato perduto, tanto più che oltre i 1500 gradini “chiani” e “lenze” (tradotto: pianori e terrazzamenti) sono diventati Riserva protetta. Bisogna nondimeno avere molta aria nei polmoni per arrivarci, anzi per elevarsi: è infatti a 1000 gradini che sorge la chiesa di San Bartolo, costruita a un’altezza voluta per dominare il creato, così profondo da non avere per confine che il solo orizzonte. Ma contrariamente a un tempo quando gli arcudari ignoravano il mare che li sommerge e si dedicavano alla loro ubertosa terra, prima ancora di andarsene a centinaia in Australia, quelli che sono rimasti hanno scoperto la pesca e molti dei Taranto, dei Virgona e dei Russo (le tre stirpi indigene tra le quali l’incesto è stato vangelo) hanno il loro rollo in acqua e sono diventati rais in tutto il Basso Tirreno.

Da nessun’altra parte come ad Alicudi gli abitanti fanno parte del luogo e del paesaggio. Lo scrittore Ermanno Rea vinse il Campiello proprio con un romanzo sugli arcudari e per ultimo un regista siciliano, Aurelio Grimaldi, è arrivato per girare un docu-film. Pensando di essere sbarcato su un’isola misteriosa e primitiva, si è innamorato sia dell’isola che degli isolani. Succede a molti. Basta un volitivo spirito di trappista scarpinante e molta voglia di stare fermi a guardarsi attorno.

dabs

Museo Archeologico di Lipari Isole Eolie

Museo Archeologico di Lipari

Il complesso museale sorge sul roccione riolitico del “Castello” di Lipari, un’imponente cupola di formazione vulcanica con caratteristiche di fortezza naturale, dove gli abitanti si sono insediati in tutti i periodi in cui si è sentita una necessità di difesa.

Le testimonianze di questi insediamenti sono oggi in parte visibili sul pianoro sommitale della rocca: capanne dell’Età del Bronzo, su quattro livelli sovrapposti; strutture di Età Greca e Romana; impianto urbano del II sec. a.C., grazie all’intensa attività di scavo sistematico avviata a partire dagli anni ’50.

Fino alla metà del XVI secolo la rocca del “Castello”, la “Cittàde” nella vecchia dizione popolare, conservava il suo aspetto naturale, costituito da pareti rocciose per tutta la sua altezza e da alcuni tratti di fortificazione sulla sommità di queste. L’aspetto attuale gli deriva dalle possenti cortine a scarpa delle fortificazioni erette da Carlo V intorno al 1560, subito dopo l’attacco del pirata tunisino Kaireddin Barbarossa, che nel 1544 aveva conquistato e distrutto la città.

 

Sul lato Nord, le fortificazioni spagnole hanno inglobato la torre a difesa piombante di Età Normanna, la quale aveva compreso una torre di età greca, probabilmente del IV sec. a.C., oggi ancora visibile per tutta la sua altezza. Le diverse Sezioni in cui il Museo è articolato e le sue infrastrutture (uffici, biblioteca, depositi, servizi aggiuntivi, ecc.), trovano  sede in diversi edifici storici, a cui si aggiungono anche i fabbricati novecenteschi del campo di confino fascista.

 

Il Museo, costituito da sei padiglioni, che accolgono rispettivamente: la Sezione Preistorica, la Sezione Epigrafica, la Sezione delle Isole Minori, la Sezione Classica, la Sezione Vulcanologica, la Sezione di Paleontologia del Quaternario, documenta ed illustra, attraverso i complessi dei reperti esposti, gli insediamenti umani e lo sviluppo delle civiltà succedutesi, nell’Arcipelago Eoliano, dalla Preistoria alle soglie dell’Età Moderna.

Il percorso scientifico è agevolato dal ricco ed esaustivo apparato didattico che si articola su due livelli: didascalie con caratteri di colore rosso, forniscono in lingua italiana ed inglese informazioni essenziali ad una visita rapida; testi esplicativi con caratteri di colore nero, forniscono in lingua italiana informazioni ampie e dettagliate ad una visita ragionata e scientificamente completa.

Disponibili per la consultazione del pubblico sono inoltre, all’interno della Sezione Preistorica, della Sezione delle Isole Minori e della Sezione Classica, delle postazioni informatiche di facile accesso per quanti vogliano più ampi spunti di approfondimento, e sui complessi esposti nel Museo e sulle emergenze archeologiche e/o monumentali del Castello.

Dabs